Palermo è un approdo o un punto di partenza? E’ la città che espone il suo ventre molle allagato alle prime piogge d’autunno o è il laboratorio permanente di una way of life alternativa che può diventare un modello per il disastrato Sud d’Italia? E’ la città del Male assoluto che trionfa o quella dove il Bene riesce ad affermare la sua Resistenza alla mafia, all’incultura, all’inciviltà incombente? Questi interrogativi sociologici e culturali sono impliciti allo stimolante teorema enunciato dall’opera prima di Emma Dante, portatrice sana dei germi avanguardistici di un fare liminare e impulsivo che ha di recente trovato possibilità di affermazione istituzionale. Un’inquietudine e una rabbia sottoproletaria che ha radici in Artaud e respiri nel corpo dell’esperienza di Pina Bausch. La Dante è una palermitana battagliera e polemica, pronta a mettersi in gioco sfidando le convinzioni. Chi scrive non ha mai visto un suo spettacolo teatrale e non ha letto il suo primo romanzo pubblicato nel 2009 da Rizzoli (vincitore del “Premio Vittorini” e del “Super Vittorini”) ora portato su grande schermo dalla stessa regista, che ha per titolo quello di una via, Castellana Bandiera, situata alle pendici del Monte Pellegrino, dove la Dante ha abitato per lungo tempo. Che per la regista questa via sia la metafora di Palermo, città di frontiera è subito evidente: è una via dalle proporzioni incerte e dove i numeri civici si replicano misteriosamente. E’ la strada dell’anima, quella di un ritorno doloroso alle origini che, però, sembra lasciare poco spazio a qualunque nemesi. Fatto sta che la via Castellana Bandiera si trasforma, nel film, in un crocevia che rimanda ad apologhi godardiani (Week-end) o a cul de sac apocalittici alla Comencini de L’Ingorgo.In una calda domenica pomeriggio, Rosa (la Dante) e Clara (Alba Rohrwacher) percorrono Palermo in auto. Sono venute a festeggiare il matrimonio di un amico e noi ben presto apprendiamo che la loro relazione è in crisi. Il fattaccio si consuma quando in via Castellana Bandiera, la loro auto se ne trova di fronte un’altra, proveniente dal senso contrario, guidata dalla famiglia Calafiore. Un buffo dilemma alla “Brancaleone” (“Cedi lo passo!” “No, cedi lo passo tu!”) lascia spazio al dramma: la Multiplo delle due donne si ritrova muso a muso con la Punto dell’anziana Samira (Elena Cotta, per questo ruolo premiata alla Mostra di Venezia con la Coppa Volpi). Nessuno dei contendenti intende recedere da un supposto diritto di precedenza e la vicenda coinvolge progressivamente l’intera comunità del fatiscente ma vitalissimo quartiere. Sceneggiato dalla stessa Dante con Giorgio Vasta, con la collaborazione di Licia Eminenti, Via Castellana Bandiera propone un duello al femminile che diventa anche generazionale, ben presto ridotto a pretesto per fare emergere addolorate ombrosità da tragedia classica (Samira ha perso la figlia, così come Rosa ha smarrito il proprio rapporto con la madre). La guerra di ostinazione tra le due donne si trasforma anche in una partita d’azzardo quando la famiglia dell’anziana allarga il campo della sfida, organizzando una grottesca riffa. Le contendenti sono allo stremo e il duello assume dimensioni sempre più metafisiche, quando si scopre che la strada che blocca le due auto non è poi così stretta. Non aggiungiamo nulla di più al godimento di questo film generosamente imperfetto, che coniuga atmosfere da spaghetti western con omaggi al realismo poetico di Kiarostami, dove l’automobile diventa il medium privilegiato per inquadrare paesaggi e situazioni secondo una prospettiva frammentaria che allude a un tutto impossibile da raccontare. In Via Castellana Bandiera c’è un evocativo finale in stile Taviani, sottolineato dallo struggente brano “Cumu è sula la strata” dei fratelli Mancuso: una corsa collettiva verso il baratro, verso uno spazio indistinto dove si può sprofondare per potere forse rinascere. Perché Palermo è anche la città dell’Araba Fenice. |